giovedì 27 agosto 2009

INFRASTRUTTURE, LAVORO ED IMPATTO AMBIENTALE.

PREMESSA
Perché l'Italia ha meno infrastrutture degli altri Paesi europei? E perché il Sud ne ha ancora meno? Questa doppia carenza non dipende dall'ammontare della spesa complessiva né dalla sua distribuzione sul territorio, dipende invece dall'incapacità della pubblica amministrazione di tradurre quella spesa in opere pubbliche adeguate, per costi, tempi di realizzazione e bisogni del Paese.

Nel corso degli anni, infatti, il tema delle “infrastrutture” è diventato una questione importante e cruciale per l’economia e lo sviluppo della nostra amata isola Siciliana.

Occorre, quindi, iniziare a lavorare pensando allo sviluppo delle infrastrutture nel suo complesso: dal sistema dei trasporti, alla realizzazione di opere pubbliche, ai fondi FAS, al sistema energetico fino ad arrivare al sistema delle telecomunicazioni.

IL MANCATO POTENZIAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE IN SICILIA

Iniziamo dallo sfatare un luogo comune, secondo il quale il primo sforzo serio per dotare di infrastrutture il meridione si sarebbe avuto a partire dagli anni '50 con l'"intervento straordinario". Così non è stato e non è ancora oggi. Le risorse dello Stato impiegate nel Mezzogiorno quasi sempre non sono state ben utilizzate per la realizzazione e lo sviluppo delle strutture dedicate al meridione.

Per gli ultimi 50 anni i dati parlano particolarmente chiaro: sino alla metà degli anni '80, la spesa complessiva per opere pubbliche nel Mezzogiorno raramente è inferiore al 40% del totale. Solo in seguito, e soprattutto negli anni '90, la distribuzione degli investimenti penalizza il sud e le isole.
Lo sforzo protratto e ingente per dotare di infrastrutture il Mezzogiorno non ha dato i risultati desiderati. Infatti, se dall'analisi dell'impegno finanziario si passa ad un inventario di quel che effettivamente è stato costruito, i chilometri di strade, le ferrovie, eccetera, si conferma l'opinione corrente: nel Mezzogiorno vi sono meno infrastrutture che altrove. Una quantificazione del rapporto che vi è tra quanto è stato speso e quel che si è realizzato nelle diverse parti d'Italia è eloquente: i comportamenti meno virtuosi si hanno al sud, particolarmente in Sicilia e le differenze osservate rispetto al resto del Paese sono notevoli.
Un esempio: se si considerano le infrastrutture effettivamente presenti, la Sicilia nel 1997 disponeva di una dotazione pari al 66% rispetto alla media nazionale. Se si considera quanto è stato speso nel tempo, l'ammontare delle infrastrutture in Sicilia avrebbe dovuto essere pari al 114% della media nazionale.

Torniamo al dibattito di oggi. Non si può svincolare un ragionamento sulle opere e sulle risorse necessarie da una considerazione approfondita sul modo in cui l'amministrazione riesce a gestire le realizzazioni. Per esempio, è difficile prestare fede alle previsioni di spesa per la costruzione del ponte sullo Stretto, che interessa le regioni che storicamente si sono dimostrate meno capaci nel realizzare le opere pubbliche. Una stima seria dei costi dovrebbe contemplare, oltre alle alternative tecnologiche, degli scenari "amministrativi", per descrivere come il costo previsto si modifichi a seconda della capacità delle amministrazioni, per esempio nel gestire le inevitabili variazioni che si renderanno necessarie per un'opera così complessa.


Il nuovo quadro disegnato dal Governo Berlusconi ha un'impostazione che va oltre all'attenzione per gli aspetti puramente finanziari del problema, attraverso la formazione di Patrimonio SPA e di Infrastrutture SPA, non aggiunge nulla, anzi, qualcosa toglie, al cammino difficile per realizzare un'amministrazione più capace. L'inadeguatezza dell'amministrazione è aggirata attraverso la figura del general contractor, unica impresa che si occuperà della progettazione, del finanziamento e dell'esecuzione di una grande opera. Ma il "contraente generale" non vivrà nel vuoto, e il suo referente sarà l'amministrazione di sempre. Inoltre, le imprese in grado di svolgere il ruolo di contraente generale per le grandi opere saranno poco numerose, e subiranno un impulso irresistibile alla collusione, che attenua la concorrenza e fa lievitare i prezzi.

A ben vedere, la riforma attuale appare come un'ulteriore espressione di una sorta di ideologia corrente, secondo la quale i problemi della nostra amministrazione pubblica sono risolvibili al suo esterno, portando fuori delle responsabilità e introducendo nuove figure, possibilmente con nomi in lingua inglese. Nei fatti, quel che si porta fuori, da dentro deve comunque essere controllato e indirizzato: si tratta di un'opera ardua, perché lo stesso processo di "riforma" spesso si accompagna a una demotivazione e a un impoverimento delle competenze tecniche delle amministrazioni.
Nel campo delle infrastrutture, così come negli altri aspetti della vita nazionale, il problema del cambiamento nell'amministrazione pubblica non presenta scorciatoie utilmente percorribili: ecco un piccolo "mantra" che gli italiani farebbero bene a memorizzare.

LAVORO E SPESA PUBBLICA PER IL SUD : RAPPORTO SVIMEZ

Il governo Berlusconi sul Mezzogiorno predica bene ma razzola male: Secondo i dati dell'ultimo Rapporto Svimez, infatti, la spesa pubblica per il Sud è ancora lontana dalla quota minima, pari a circa il 38,5% (si tratta di una percentuale espressa come media tra il peso del Sud in termini di popolazione eil suo peso in termini di superficie), necessaria per far fronte alle esigenze normali delle masse popolari dell'area del Mezzogiorno, sia dall'obiettivo sottostimato del 30% che è indicato nei documenti governativi.Anzi la quota di spesa pubblica ordinaria è diminuita sia al Nord che al Sud, ma con intensità maggiore nell'area meridionale, dove si è localizzato nel 2008 solo il 22,3% della spesa complessiva.Tali numeri dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che al Sud la spesa dello Stato è troppo bassa per far fronte anche alle esigenze normali del funzionamento accettabile dei servizi pubblici di ogni genere, dalle scuole, agliospedali, ai trasporti. Si può immaginare allora perché tra cifre diinvestimento pubblico così sottostimate e gestione clientelare e mafiosa dei pochi soldi stanziati le strutture pubbliche, i trasporti, le scuole nel Mezzogiorno siano da Terzo mondo.Sulle carenze infrastrutturali, componente importante dell'arretratezza economica del Mezzogiorno, lo Svimez insiste molto. Se si pone a 100 il valore di infrastrutturazione del resto d'Italia il Sud risulta molto indietro. Per le ferrovie il Mezzogiorno sta al 72,3%, nelle due Isole che hanno una carenza secolare su questo fronte, il tasso scende al 40,9%. Le ferrovie risultano, oltre che quantitativamente insufficienti, molto datate ed inadeguate alle necessità attuali.Inadeguate anche le linee di trasmissione elettrica, al 74% del valore nazionale, e di distribuzione del gas al 44,6%.Di fronte ad una situazione del genere, diciamo noi Giovani Democratici Siciliani, laddove è necessario il miglioramento qualitativo e quantitativo delleinfrastrutture del Mezzogiorno si può comprendere come il progetto del Ponte sullo Stretto risulti, oltre che dannoso per l'ecosistema e assolutamente improponibile, anche grottesco. Che senso ha, oltre a quello di regalare fondipubblici alla mafia, un'opera del genere in un contesto dovemancano le infrastrutture essenziali?

OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE AL SUD SECONDO I DATI SVIMEZ
Un dato apparentemente positivo, invece, quello della "diminuzione" della disoccupazione, che spesso viene citato dai governi nazionale e regionali come indicatore di un miglioramento delle condizioni del Sud, si ribalta in negativo quando si va ad analizzare più attentamente la realtà.Infatti, se il tasso di disoccupazione scende dal 19% del 2007 al 12,3% nel 2009, lo stesso Svimez avverte che la discesa non significa automaticamente aumento dell'occupazione. L'occupazione nell'intero Sud risulta cresciuta appena dello 0,7%, portando il tasso di occupati in età da lavoro al46,6%, ovvero meno della metà della popolazione in età da lavoro nel Sud. Va ancora peggio alle masse femminili: solo nel 31,2% del totale delle donne in età da lavoro ha un'occupazione e spesso si tratta di lavoro supersfruttato.È ovvio a questo punto che il principale fattore del calo della disoccupazione è che una quota consistente di lavoratrici e lavoratori ha smesso di cercareun'occupazione. In pratica una gran massa di disoccupati meridionali ha smesso di iscriversi nelle liste di disoccupazione o si è cancellata da esse e lo Stato non li conta più come disoccupati. In totale la "crescita" dell'occupazione è irrisoria a fronte della reale fame di lavoro del Sud. Appena 105.000 unità di nuovi occupati. Quello che si nota di estremamente preoccupante è che i nuovi occupati sono soprattutto lavoratori cosiddetti "atipici" per laquantità di 75.000 unità. Ovvero per oltre il 71% dell'intera cifra si tratta di lavoratori a termine, stagionali, part-time o con contratti "flessibili" di vario tipo.Notiamo poi che essi si concentrano in settori non produttivi come i servizi, dove aumentano del 2,1% i "posti di lavoro", oppure in settori produttivi come l'agricoltura, +4,5%, che forniscono, per lo più, lavoro di tipo stagionale e che sono, purtroppo, in crisi, come si evince dal rapporto Svimez.Mentre si registra un lieve aumento di occupati, alle condizioni che abbiamo spiegato, in un altro settore produttivo come quello dell'industria si registra un calo dello 0,7% di operai nel Mezzogiorno. Basti considerare per comprendere le motivazioni di questo calo la devastante crisi dell'industria siciliana, pilotata dai governi nazionali e regionali, che ha portato via migliaia di postidi lavoro a tempo indeterminato e sindacalmente tutelati in importanti settori produttivi come la metalmeccanica, la siderurgia, i petrolchimici dislocati in varie province della regione.
Il rapporto Svimez calcola anche la quantità del lavoro nero nel Mezzogiorno che si attesta intorno al 1.391.000 unità, pari ad un quinto di tutti i lavoratori del Mezzogiorno, con un aumento nel solo 2008 di 43.000 unità.Lo Svimez ci indica anche che ancora una volta il Mezzogiorno è in mano alla criminalità organizzata.I numeri dello Svimez sono molto importanti, ma da soli non danno il livello del sempre maggiore radicamento della criminalità organizzata nel Mezzogiorno e dell'impatto devastante che la crescita delle mafie ha sulla vita delle masse popolari. È certo, tuttavia, che la mafia non può che essere stata favorita da una serie di provvedimenti da parte dei politicanti borghesi a livellonazionale e locale, in testa le privatizzazioni. La ripresa dell'emigrazione Industria al palo e agricoltura in crisi, flessibilità selvaggia dei rapporti di lavoro, assenza di servizi adeguati, presenza asfissiante della criminalità organizzata, mancanza di prospettive per il futuro. Sembra di parlare del Mezzogiorno del dopoguerra ed è più o meno a quei livelli di arretratezza che lo Stato ha riportato il nostro Sud. Ed è da questi livelli di arretratezza economica e sociale che è ripreso il dramma dell'emigrazione con tassi che ricordano il grande esodo degli anni '60. I giovani disoccupati hanno ripreso a spostarsi dalle regioni del Sud verso le "ricche" regioni del Nord, Lombardia ed Emilia-Romagna in testa.Lo Svimez afferma "nel 2008, in base agli ultimi dati disponibili, sono stati circa 270mila i trasferimenti stabili (120mila) e temporanei (150mila) Sud-Nord: numeri molto elevati, se si pensa che negli anni di massima intensità migratoria 1961-63 la quota raggiunse i 295mila".Evidentemente questa nuova ondata di emigrazione è causata dalle politiche antimeridionali che hanno mandato in crisi importanti settori produttivi che erano lo sbocco occupazionale dei lavoratori al Sud, industria, agricoltura, ecc., e hanno chiuso possibilità occupazionali anche per le nuove generazioni dello strato inferiore della piccola borghesia del Sud, le quali storicamente sono stati occupati nella scuola, nelle pubbliche amministrazioni ecc. .È certo che il Sud ha ancora enormi problemi strutturali nella sua economia, ma quello che secondo noi Giovani Democratici emerge dal rapporto Svimez è il legame tra l'aggravamento di quel complesso di elementi che definiscono la Questione meridionale e la politica antipopolare condotta negli ultimi anni dai governi nazionali e locali del "centro-destra". In sostanza, a parte la crisi economica globale, attacchi ai diritti dei lavoratrici e supersfruttamento nei rapporti di lavoro, privatizzazioni e svendita del patrimonio di infrastrutture pubbliche, spesa dello Stato sottostimata e tagli, sono questi gli elementi che hanno condotto al riacutizzarsi dei problemi del Sud.Problema dei problemi se il governo Berlusconi non si deciderà presto ad investire seriamente in sviluppo, aiuto alle famiglie, infrastrutture e lavoro vero.

INFRASTRUTTURE
Il piano programmatico sulle infrastrutture di trasporto di cui la Regione Siciliana è in possesso è fondamentale per lo sviluppo dell’Isola e soprattutto per iniziare a creare collegamenti efficaci nel mediterraneo. E’ in questo modo che la Sicilia potrebbe giocare un ruolo centrale nel mediterraneo.
Un rilevante problema per la Sicilia, è quello della carenza del sistema infrastrutturale. Il gap infrastutturale siciliano nei confronti dell’Italia (84,1 contro Italia = 100 al 2004) è grave e risulta sostanzialmente invariato negli ultimi anni. “Una regione ben dotata di infrastrutture avrà un vantaggio comparato rispetto ad una meno dotata... e questo si tradurrà in un più elevato Pil regionale pro-capite o per persona occupata e/o anche in un più elevato livello di occupazione. Da ciò consegue che la produttività, i redditi e l?occupazione regionale sono funzione crescente della dotazione di infrastrutture”.In Sicilia, dai dati raccolti attraverso i numerosissimi piani di infrastrutturazione, che a varia scala sono stati proposti negli anni, le infrastrutture risultano carenti. In particolare i valori degli indici di dotazione infrastrutturale in tema di trasporti (rete stradale, ferroviaria, e aeroportuale) testimoniano come il forte gap rilevato a livello complessivo che contraddistingue la Sicilia rispetto al resto del Paese sia da attribuire in larga parte proprio ai ritardi accumulati in tale ambito. Occorre inoltre rilevare che gli indici di dotazione non evidenziano lo stato qualitativo, o in altre parole, la rispondenza in termini di funzionalità delle infrastrutture rispetto alla domanda e non sono in grado di rappresentare la dimensione territoriale dei divari.Per quello che concerne i dati sulle infrastrutture autostradali si rileva in Sicilia la totale mancanza di una rete autostradale a tre corsie contro i 23 chilometri per 1000 kmq di superficie territoriale dell?Italia. La dotazione di autostrade a due corsie è pari a circa 23 chilometri per 1.000 kmq di superficie territoriale (l?Italia mediamente ne conta 21 chilometri). Le maggiori problematiche delle strade siciliane riguardano soprattutto lo scadente livello nei servizi agli utenti, gli alti livelli di incidentalità con i relativi tassi di mortalità che risultano superiori alla media nazionale e lo scarso collegamento tra nodi urbani, zone costiere e aree interne, con conseguente aggravio dei costi di trasporto. Debole si presenta, inoltre, il sistema delle strade rurali secondarie, sia in termini di collegamento che di livello di manutenzione e presenza di strutture a protezione e segnaletica.
1. Porti ed Interporti
Lo sviluppo delle infrastrutture siciliane ruota attorno a due grandi poli portuali.
Nella parte orientale dell’Isola, vi è l’area Pozzallo-Catania-Augusta, quest’ultima vocata al
trasporto container, con alle spalle un retroporto ben attrezzato, e da collegare in modo
intermodale (ferrovie e strade) col grande interporto di Catania Bicocca.
Nella parte occidentale, vi è il polo di Trapani-Palermo, con l’interporto di Termini Imerese,
da specializzare nel trasporto con traghetti RO-RO che consentiranno collegamenti veloci
con i porti del Nord Italia, realizzando una grande autostrada del mare.
Su queste due piattaforme logistiche, di cui potranno beneficiare attraverso un sistema
integrato tutte le province della Sicilia, si gioca una parte consistente dello sviluppo futuro della Regione.
2. Le Ferrovie
La rete ferroviaria in Sicilia si estende per 1.400 km, di cui circa 780 elettrificati o doppiamente elettrificati. Dal 1999 al 2005 la distanza coperta dalla rete non ha subito particolari cambiamenti. Entrando nel merito dell?adeguatezza tecnologica della dotazione, essa appare non sufficiente (60,5 rispetto alla media nazionale a fronte del 119,1 del Centro-Nord e del 72,3 del Mezzogiorno). Nello specifico si rileva un significativo deficit per le linee a binario doppio elettrificato.In Sicilia la localizzazione e la qualità delle rete penalizza i centri rurali interni in cui il disagio risulta notevole. Il trasporto ferroviario che per tradizione raggiungeva in maniera capillare il territorio anche delle aree rurali interne non è stato incentivato da politiche di rinnovo e ammodernamento strutturale anzi in alcuni tratti non elettrificati che potevano dare impulso a forme innovative di turismo verde e alternativo i binari sono stati smantellati.
Per il settore ferroviario, in atto sono previsti il raddoppio della tratta Palermo-Messina e la realizzazione della nuova tratta Palermo-Catania. Sono opere che, anche a medio-lungo termine, presentano oggettive difficoltà di esecuzione. Il solo tratto Cefalù-Castelbuono, che misura 12 km, con 11 km di gallerie, costa oltre 40 milioni di euro a Km.
Per ciascuna delle due tratte il costo stimato è di oltre 4 miliardi di euro.
Si tratta, allora, di prendere seriamente in considerazione una scelta alternativa: puntare
sulla velocizzazione della attuale tratta Messina-Catania-Palermo che, oltre a ben
collegare i porti ed interporti, abbraccerebbe un bacino di utenza significativo sia per il
trasporto di merci che di passeggeri, consentendo di percorrere la tratta Catania-Palermo
in 1 h. e 20 m. e in poco più di due ore la Messina-Palermo.
D’altra parte, lo studio di fattibilità riguardante il percorso Castelbuono-Catenanuova e
trasmesso ai Ministeri nel gennaio 2004, prevede la realizzazione di notevoli tratti in
galleria (alcuni fino a 39 km). Inoltre, vengono escluse le province di Caltanissetta ed
Enna.
Occorrerà dunque sviluppare ulteriori riflessioni progettuali che consentano il passaggio
attraverso le due province interne e riducano la realizzazione di tratte in galleria, in modo
da rendere più funzionale l’intero percorso ed alleggerire il costo complessivo dell’opera,
che per ora ammonta a 4 miliardi di euro.
Per quanto riguarda il tratto Catenanuova-Catania Bicocca, il costo per la velocizzazione
è stato stimato in 400 mila euro. Il tempo previsto per la progettazione preliminare di questo tratto è di 16 mesi (al netto di interruzioni già in atto per controversie burocratiche).
Per la parte da Messina a Catania, è da realizzare il tratto Giampilieri-Fiumefreddo, che
è stato approvato dal CIPE con alcune prescrizioni e che ammonta a 1,97 miliardi di euro.
Si tratta ovviamente degli interventi di “prima necessità” in un sistema infrastrutturale
ferroviario che resta comunque deficitario.
In questo senso, una riflessione ulteriore andrebbe fatta, per la sua rilevanza strategica di
collegamento merci, relativamente alla realizzazione di una tratta che possa condurre da
Catania ad Augusta, consentendo la piena funzionalità dell’interporto, e di una tratta che si
colleghi all’aeroporto di Comiso.
Per quanto riguarda la provincia di Ragusa, che quasi sempre viene dimenticata, la modalità di trasporto ferroviaria ha suscitato pareri discordanti. Come si evince anche dall’indice di “infrastrutturazione” del Tagliacarne le dotazioni della Provincia di Ragusa (per infrastrutture e ambiente) risultano ben al di sotto sia della media nazionale sia della, già molto carente, sia dalla media regionale. Si è rilevata, pertanto, una doppia necessità:
a) di intervento per uno sviluppo della rete esistente (per estensione e per efficienza del servizio);
b) di intervento per una sensibilizzazione all’utilizzo della modalità ferroviaria (avvertita da alcuni stakeholder come ancora sottoutilizzata e meno efficiente rispetto alla modalità gomma).
Le necessità di intervento per potenziare la rete esistente riflette le potenzialità dei
collegamenti tra nodi (presenti e futuri) e reti (in via di programmazione o in attesa di
finanziamento); anche per le necessità della domanda di trasporto (merci e passeggeri) le
priorità emerse fanno riferimento alla realizzazione dei collegamenti ferroviari tra i maggiori
centri cittadini (Comiso, Vittoria, Ragusa) e il Porto di Pozzallo e l’Aeroporto di Comiso.
Soprattutto per la domanda di trasporto originato dall’importazione e l’esportazione di marmi,
si è resa necessaria l’opportunità di un collegamento ferroviario con il Porto di Pozzallo;
l’attuale flusso di merci su gomma infatti, oltre a congestionare intere tratte di strade
provinciali e statali (SS 514), rende più oneroso il costo del trasporto e in ultima analisi
meno competitivo un comparto molto importante per l’economia locale. Ciononostante non v’è
ancora unitarietà di intenti e di azioni sulle soluzioni programmate: l’elevato costo stimato (50
milioni di euro) per il collegamento ferroviario tra il Porto di Pozzallo e l’attuale linea esistente
per Comiso (dovuto all’interramento di parte della nuova tratta) non consente di raggiungere
una comunione di intenti sul tema in oggetto.
Sul potenziamento delle linee ferroviarie v’è altresì una preoccupazione sull’impatto ambientale
(paesaggistico) delle linee programmate. Questo aspetto, seppur necessiti un
approfondimento, non è irrilevante in un ottica di condivisione ricercata delle azioni.
E’ altresì emersa la necessità di accrescere gli attuali insoddisfacenti livelli di intermodalità,
soprattutto in relazione al trasporto pubblico urbano, e alle crescenti aspettative sui flussi
turistici (collegamenti tra l’aeroporto e le principali attrattività turistiche del comprensorio:
Vittoria, località balneari, Ragusa, Modica ecc.).
Ma la decisione di Trenitalia di cancellare alcune tratte ferroviarie nell’Isola è l’ennesimo atto di razzismo perpetrato da Roma nei confronti della Sicilia.
Questa decisione calata dall’alto danneggerà centinaia di studenti fuorisede e di lavoratori pendolari che giornalmente utilizzano il treno, ed avrà pesanti ripercussioni per il turismo nell’Isola, altro che progetti per lo sviluppo delle infrastrutture e fondi per la realizzazione del ponte sullo stretto. E’ assurdo poter pensare di cancellare le tratte in una terra come la Sicilia già penalizzata dalla mancanza di un adeguata rete di trasporti ed addirittura è inconcepibile la decisione di Trenitalia di aumentare il prezzo del biglietto quando abbiamo un servizio ferroviario scadente ed inefficace.
Basti pensare che per andare, ad esempio, da Catania a Trapani si impiegano più di 8 ore, mentre al Nord per percorrere la stessa distanza bastano circa 3 ore e mezza.
Ma la notizia più sconvolgente è che la Sicilia scompare dal piano Trenitalia e verrà rappresentata a partire dal 2010, senza collegamenti a lunga percorrenza garantiti finora da intercity e treni espressi e senza sale operative e uffici. Inoltre se il piano dovesse diventare realtà chi da Trapani o da Palermo vorrà raggiungere Roma o Milano in treno non potrà più salire su un intercity o un espresso, ma potrà utilizzare solo i treni regionali fino a Messina attraversando lo stretto con i traghetti privati per poi recarsi nella stazione di Reggio Calabria, cambiare treno e proseguire verso le destinazioni in continente. Quindi la domanda è: ma Lombardo cosa sta facendo a tal proposito? Perché non difende, come dovrebbe, la causa siciliana?
I Giovani Democratici difenderanno i siciliani da questo governo che è attento alle esigenze e ai capricci del Nord mentre è cieco e sordo nei confronti di un Sud sempre più abbandonato a se stesso.
3. Strade ed Autostrade
Per quanto riguarda le strade dell’Isola, possiamo dire senza alcun dubbio che siamo indietro di almeno un secolo rispetto al resto d’Italia.
Una fitta rete stradale è necessaria per coprire e raggiungere tutto il territorio siciliano, collegando tutti i più importanti centri della regione . Una rete stradale efficiente e sicura è fondamentale anche per i cittadini stessi.
Urgente e necessaria è la fine dei lavori ed il completamento dell’autostrada Catania-
Siracusa, prevista per il 2009, con un costo totale di 804 mila euro. (Da premettere che il tratto aperto è stato nuovamente chiuso).
Altro intervento prioritario è quello che riguarda il completamento dell’itinerario Agrigento-
Caltanissetta ed il completamento della Palermo-Agrigento, il cui progetto iniziale è in corso di rivisitazione con una drastica riduzione della portata dell’intervento progettato in origine. Si ritiene altresì necessario lo snellimento delle attività connesse alla realizzazione delle tratte statali in via di potenziamento (Statale Ragusa – Catania), una strada che deve essere realizzata da più di 50 anni e che ancora vede diverse difficoltà a causa della riduzione dei fondi da parte del governo Berlusconi.
4. Aeroporti
L’intervento prioritario si concentra sull’aeroporto di Comiso, a supporto dell’aeroporto di
Catania ed a copertura dell’area orientale dell’Isola.
L’aeroporto di Comiso, è costato 47,4 mila euro (finanziato con fondi POR, con delibera
CIPE, ma anche con fondi privati) doveva entrare in pieno regime già dall’anno scorso ma ancora aspettiamo l’apertura. A tal proposito il Partito Democratico della Provincia di Ragusa ha già avviato una petizione popolare per l’immediata apertura e funzionamento dello stesso.

La sua funzione è fondamentale per i trasferimenti cargo verso i mercati nazionali ed
internazionali e rappresenta una valida alternativa in caso di chiusura dello scalo etneo.
Inoltre, la sinergia con l’aeroporto di Catania, può consentire il decongestionamento
offrendo spazio ai charter “low cost”.
D’altra parte, occorrerà prevedere la celere realizzazione delle necessarie infrastrutture di
collegamento (viarie/ferroviarie) con l’interporto di Catania e con le aree portuali di
Augusta e Pozzallo affinché, garantendo un’adeguata dinamicità degli spostamenti di
merci e passeggeri, Comiso non si ritrovi isolata, rischiando in tal modo di vanificare gli
impegni economici e le energie fin qui spesi.

5. Il Ponte sullo Stretto
Come tutte le grandi opere, anche il Ponte di Messina è stata sempre fonte di lungo dibattito tra opinioni e sentimenti diversi, ha suscitato opposizioni di tipo politico, economico, etico e quant'altro.Di fronte all'approvazione del progetto Ponte di Messina, si pongono numerosi quesiti e critiche.Le prime critiche vengono mosse proprio da chi dovrà avere a che fare con il ponte direttamente in prima linea: i siciliani e i calabresi.Tra questi c'è chi pensa che la costruzione del Ponte di Messina sia assolutamente inutile.Molti siciliani ad esempio sono fieri del loro essere isolani o comunque ritengono di avere altre necessità in primo piano, come ad esempio la siccità che frena tantissimo lo sviluppo economico dell'isola.Nel Sud del Paese è presente un profondo scetticismo sulla concreta realizzazzione dell'opera, scetticismo motivato da anni e anni di disservizi e inadempienze della Pubblica Amministrazione.La paura che il ponte di Messina si riveli l'ennesima "cattedrale nel deserto", che le strutture ferroviarie e autostradali promesse e necessarie affinché questa colossale opera abbia un senso, rimanga pura utopia.
I siciliani si chiedono: “a cosa serve il ponte se prima non si realizza e migliora la rete stradale?”.Inoltre, c'è chi non vuole vedere deturpate ed inquinate le bellezze naturali di Ganzirri e Villa, nonostante nella progettazione del ponte di Messina si sia fatto il possibile per ridurre ai minimi termini l'impatto ambientale.Queste idee si scontrano duramente con chi invece vorrebbe vedere decollare finalmente l'economia di questi posti e crede fermamente che il ponte rappresenti la chiave di volta per accorciare le distanze fisiche ed economiche e poter assottigliare le differenze che separano la Sicilia dal resto dell'Italia.

SISTEMA DELLE INFRASTRUTTURE DELLE ACQUE IN SICILIA
Dagli studi e dalle indagini che si susseguono ormai da oltre mezzo secolo sulla situazione idrica in Sicilia è possibile affermare che la carenza d’acqua nell’isola è principalmente un problema politico e nasce da una cattiva gestione delle risorse, condizionata pesantemente dalle ingerenze mafiose e attuata per troppo tempo in assenza di un quadro di riferimento certo e di una programmazione coordinata.
In Sicilia risultano classificati dal Servizio idrografico 121 bacini idrografici di cui 59 nel versante settentrionale, 40 nel versante meridionale e 22 nel versante orientale. Di questi 121 bacini idrografici 79 hanno una superficie inferiore ai 100 Kmq, 35 compresa tra 100 e 500 Kmq e solo 7 oltre 500 Kmq.
A partire dalla fine degli anni Quaranta, e soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, si è dato avvio alla costruzione di dighe o alla deviazione dei fiumi per portare l’acqua dove era richiesta e per risolvere il problema dell’incremento delle aree irrigue.
Ad oggi in Sicilia le opere di sbarramento che rispondono alla definizione di “grandi dighe” sono ben 44. Considerando inoltre le opere in costruzione e quelle iniziate e non completate non riesce a capire come in Sicilia ci sono zone ed intere città che hanno gravi scarsità di acqua.
Va comunque sottolineato che attualmente sono soltanto 14 gli invasi che funzionano a pieno regime e possono, quindi, essere riempiti fino alla prevista quota di massima regolazione; tutti gli altri a causa dei mancati collaudi, funzionano in maniera parziale. Di questi ultimi il Servizio Nazionale Dighe ha autorizzato il riempimento ridotto e ha fissato per ciascun invaso limiti di sicurezza che obbliga gli enti gestori a continui svuotamenti delle dighe, appena l’acqua supera i suddetti limiti.
In Sicilia le opere relative alle sistemazioni idrauliche dei corsi d’acqua e alle diverse attività connesse al loro uso sono state affidate alle competenze di una indistinta pluralità di enti regionali che raramente colloquiano fra loro. Il susseguirsi di lunghi periodi di siccità che hanno interessato l’isola in questi ultimi anni ha invece indotto il governo regionale a istituire l’Ufficio del Commissario delegato( il Presidente della Regione) per l’emergenza idrica la cui funzione è quella di gestire e coordinare l’erogazione d’acqua nell’isola secondo le diverse esigenze avanzate dagli enti gestori relativamente agli usi irrigui, potabili e industriali.
Inoltre è da sottolineare il ruolo della Protezione civile, che investe centinaia di milioni di euro in opere attuate al di fuori di un quadro unitario. Gli interventi nei settori delle alluvioni, del dissesto idrogeologico e delle reti costituiscono una risposta che si sovrappone alla situazione attuale come un sistema indipendente attuato secondo la logica dell’emergenza e in assenza di alcuna programmazione.
Le scelte progettuali relative alla gestione dell’acqua in Sicilia risultano avere due punti in comune che rappresentano anche due limiti: non avendo a disposizione dati sui consumi attendibili, i fabbisogni erano determinati in base a parametri di consumo unitario e su una crescita demografica sovrastimata; alle carenze idriche riscontrabili in diverse zone dell’isola si poteva rimediare con la costruzione di serbatoi ed invasi di compenso nelle aree di maggiore deflusso con sistemi di interconnessione con le aree in cui si riscontravano le necessità. Questa programmazione non ha però conseguito risultati apprezzabili ma, al contrario, ha determinato impatti ecologico-ambientali negativi e non ha contribuito alla soluzione dei problemi relativi alla carenza d’acqua. Interi cicli ecologici sono stati stravolti proprio a causa dei forzosi trasferimenti di acqua e di drastici interventi di sistemazioni idrauliche. Queste ultime hanno determinato condizioni di elevato degrado negli ecosistemi fluviali provocando uno stato di disequilibrio dei corpi idrici superficiali con ripercussioni anche sulla dinamica delle coste.
Siamo di fronte alla solita ed endemica scarsa infrastrutturazione dell’isola che tanti guai e disguidi sta comportando ai cittadini.
Acqua che non arriva (clamoroso il caso di Agrigento), condutture fatiscenti che perdono sino al 60% di questa preziosa risorsa, ferrovie a binario unico con tempi di percorrenza infiniti, autostrade mai terminate con finte feste inaugurali nonché strade di normale traffico non completate o con scadente manutenzione. Insomma siamo di fronte ad un modello di scarsa o poca affidabilità per quanto riguarda servizi essenziali ai cittadini. In compenso fervono dichiarazioni e preparativi entusiastici per il Ponte sullo stretto, faraonica costruzione che sembra piacere molto alle istituzioni legali tanto quanto a quelle “illegali”.

Infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti.

Nel 1999 fu dichiarato lo stato di emergenza per la questione dei rifiuti in Sicilia e con Ordinanza del Ministero dell’Interno, delegato per il coordinamento della Protezione Civile, il Presidente della Regione fu nominato Commissario Delegato per la predisposizione di un Piano di interventi di emergenza nel settore della gestione dei rifiuti e per la redazione degli interventi necessari per fare fronte alla situazione di emergenza.
E’ proprio in questi giorni nuovamente all’esame dell’Assemblea Regionale il problema delle scelte operate dall’aggiornamento del Piano dei rifiuti, predisposto dal Presidente-Commissario, che ha sollevato perplessità fra le forze politiche sia di opposizione che di governo, dure critiche di associazioni ambientaliste e di tecnici e studiosi del settore, nonché proteste da parte delle popolazione delle aree interessate dalla localizzazioni di impianti previsti dal piano .
Il Piano pone come centrale la scelta di dare il via alla realizzazione di quattro termovalorizzatori che dovrebbero smaltire almeno il 60% dei rifiuti urbani prodotti dai siciliani. Ma l’obiettivo della quota del 35% dei rifiuti in raccolta differenziata (il cui raggiungimento era obbligatorio entro il 2003) è ancora lungi dall’essere stata raggiunta, attestandosi attualmente al 4-5%. Il raggiungimento della quota prescritta del 35% è prevista per il 2010 ma per il perseguimento di tale risultato non sembra che siano state studiate adeguate strategie.
Quello che viene contestato non è di prevedere la realizzazione di quattro termovalorizzatori , per l’incenerimento dei materiali dotati di sufficiente potere calorifero alla fine del ciclo completo di raccolta ( differenziata e non), smaltimento, riciclaggio e trattamento dei rifiuti, ma di puntare direttamente e, di fatto, solo sui termovalorizzatori per la eliminazione dell’emergenza rifiuti. A ciò si aggiunge l’”infelice” scelta dei siti degli impianti.
Leggendo i dati descrittivi degli impianti di termovalorizzazione da realizzare essi risultano sovradimensionati e atti a trattare indistintamente tutti i rifiuti solidi urbani e non solo la parte residuata da altre forme di riciclaggio e trattamento. Grossa quantità di rifiuti trattati dagli inceneritori significa,peraltro, grossa quantità di residui della termovalorizzazione che andranno smaltiti alle discariche per rifiuti speciali. A rendere “appetibile” o almeno accettabile la scelta dei termovalorizzatori dovrebbe essere la produzione di energia, fino a coprire il 20% del fabbisogno energetico regionale.
In quanto ai siti individuati per gli impianti di termovalorizzazione (uno per ciascuno dei quattro ambiti territoriali individuati a cavallo di più province) essi risultano o ubicati in prossimità, o addirittura all’interno, di aree SIC e ZPS , ovvero in prossimità di un sito archeologico (è il caso dell’inceneritore di Augusta), mentre quello di località Bellolampo andrebbe ad incombere sulla città di Palermo, come oggi vi incombe la discarica ospitata nello stesso sito, in prossimità di area urbana e con vie di accesso inadeguate ,nè adeguabili, al traffico determinato dai mezzi di trasporto dei rifiuti che vi dovrebbero affluire .Si è trattato, evidentemente, di scelte effettuate al di fuori di qualsivoglia studio integrato del territorio e senza coordinamento con altri strumenti di pianificazione .
Le gare per l’affidamento dei lavori ( costo complessivo dell’investimento circa 1 miliardo di euro) sono state espletate e sono state stipulate le convenzioni per la realizzazione dei quattro termovalorizzatori , ma nel contempo sono insorte reazioni al piano ed alla individuazione dei siti degli impianti, con ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato e presentazione di una denuncia di infrazione alla Commissione Europea da parte di Legambiente e WWF.
Ovviamente si sono anche innescati fenomeni di rifiuto da parte delle popolazioni locali ad vedere realizzati gli impianti sul proprio territorio e per rendere accettabile le scelte operate una delle Ditte convenzionate ( titolare per tre dei quattro termovalorizzatori) ha puntato sulla qualità del progetto architettonico, affidando l’incarico ad uno studio internazionalmente noto, quello di Kenzo Tange. Ma il problema non è quello di realizzare un impianto “bello” bensì quello di realizzare impianti in luoghi ambientalmente compatibili e dimensionati correttamente, avendo garantito prioritariamente che venga attuato l’intero ciclo di smaltimento dei rifiuti, valorizzando la raccolta differenziata ed il riciclaggio dei rifiuti.

SPAZI VERDI IN CITTA’
La crescente consapevolezza dell’importanza degli spazi verdi all’interno del tessuto urbano, è ormai frutto di un sentimento diffuso e consolidato. Esso si basa sulla richiesta ed un bisogno sempre maggiore di sviluppare un modello urbano più vivibile e sostenibile. A livello urbano, si può definire sostenibile una città che riesca a soddisfare i bisogni degli abitanti attuali, senza compromettere alle generazioni future la capacità di soddisfare i propri. In tale contesto è quindi importante che la città in sé riesca a riqualificare il proprio tessuto, e ciò è fattibile, anche e soprattutto, grazie al prezioso contributo offerto dal verde urbano e periurbano tramite le caratteristiche e funzioni che riesce ad assolvere in un contesto così artificiale. Alle luce di queste considerazioni noi Giovani Democratici abbiamo elaborato un Piano Strategico del verde per le città siciliane, al fine di migliorarne l’attività di pianificazione, progettazione, gestione e manutenzione degli spazi verdi pubblici. Questo tipo di strumento, che si riferisce ai principi ed ai criteri delle buone pratiche di governance ha molta rilevanza per il miglioramento del modo di vivere urbano. Esso s’inquadra nei principi e nei criteri generali della sostenibilità, ad ha la finalità predominante di accrescere il livello di qualità ambientale della città, cercando di valorizzare gli spazi verdi e rendendoli il più possibile accessibili, inglobandoli in una rete verdeche ne stimoli la connettività. Operativamente si è optato, previo approccio conoscitivo al territorio, per una scelta che prediliga l’individuazione e il successivo monitoraggio di tutti gli spazi verdi della città. Dopo l’analisi dei risultati ottenuti e la predisposizione di un database degli spazi verdi, si può delineare uno schema strutturale di piano e si sono individuati degli assi strategici, al fine di indicare le linee da seguire per un corretto modo di operare. Questo piano, inoltre, si potrebbe configurare come un processo decisionale e di attuazione basato sulla partecipazione attiva e sul coinvolgimento diretto dei cittadini, proponendo l’attuazione di partnership allo scopo di gestire ed accrescere le risorse del territorio. Il concetto della partecipazione è basilare in un’ottica di democrazia e di accrescimento della coscienza cittadina nei confronti del verde urbano, affinché venga correttamente salvaguardato e vissuto. Nelle città sono necessari gli spazi verdi per gli anziani e per i bambini. Negli ultimi decenni, nella clamorosa esplosione delle aree urbane, guidata quasi sempre da interessi speculativi più che da progetti sociali e urbanistici, i centri storici hanno perso gli abitanti per diventare aree commerciali e di rappresentanza, sono nate le periferie per i ceti più poveri, sono stati costruiti nuovi quartieri per i più ricchi, ma non sono stati organizzati servizi per le categorie sociali più deboli come gli anziani, gli handicappati, gli extracomunitari. Nascono anche i centri commerciali come vere città del consumo o i grandi ospedali come luoghi della malattia. Le strade e le piazze perdono la loro originaria funzione di connettivo urbano, di luoghi della mobilità e dell’incontro per essere totalmente monopolizzati dalle automobili. Le persone vivono o in macchina o in casa, la città diventa pericolosa, privata della cura e del controllo del “vicinato”.
In questo modello di sviluppo i bambini perdono i loro spazi “naturali” di gioco e gli anziani i loro spazi di incontro (le strade, i cortili, gli spazi liberi) e per loro si progettano spazi e servizi specializzati, come la cameretta dei bambini in casa, le ludoteche, i nidi, ecc.
In Sicilia, le infrastrutture e le strutture per queste categorie sociali “deboli” sono del tutto inesistenti e l’amministrazione regionale non è riuscita a dotarsi di un piano programmatico adeguato per favorire lo sviluppo di quest’area sociale importante.
La Regione Siciliana dovrebbe prendere un bell’impegno con i cittadini: per una città più sana e vitale dovrebbe garantire aree di verde per ogni città.
L'obiettivo è creare una città più ecologica, connettendo gli spazi urbani con grandi parchi salvaguardando e riqualificando le residue aree agricole così da mettere a disposizione dei cittadini maggiori mq di verde. Puntare sul verde è una scelta giusta: le oasi verdi hanno e avranno sempre più un'importanza prioritaria per trattenere le polveri sottili, assorbire il CO2, produrre ossigeno e rinfrescare l'ambiente per garantire una città più sana e vitale.
I DISABILI IN CITTA’
Una questione davvero fondamentale cui solo di recente si è prestata sufficiente attenzione, almeno sul piano internazionale: sono da ricordare, in particolar modo le “Pari opportunità per le persone con disabilità: un piano europeo” (2004-2010 ) e la “Convenzione Onu sulla disabilità” (2008). E sul piano nazionale e locale? Al di là di generiche promesse, resta ancora molto da fare, come documentano recenti notizie di cronaca sui disagi e le difficoltà spesso insormontabili provocati dai diversi handicap sui luoghi di lavoro e nella vita quotidiana e soprattutto sulla mancanza di strutture adeguate.La mancanza di strutture adeguate per i diversamente abili provoca delle discriminazioni cui sono soggette persone con menomazioni, quali la cecità, la sordità, le difficoltà di deambulazione, che non impedirebbero loro di essere produttive se solo la società fosse davvero disposta ad includerle. La loro relativa mancanza di produttività non è dunque “naturale”, ma è il prodotto di condizioni sociali discriminatorie, analoghe per molti aspetti a quelle legate alla razza e al sesso.
Le persone sulla sedia a rotelle possono spostarsi bene e svolgere il proprio lavoro nella misura in cui gli edifici hanno le rampe, gli autobus l’accesso adeguato e così via. Le persone cieche possono lavorare più o meno ovunque, in quest’epoca di tecnologia audio e di segnaletica tattile, se i posti di lavoro includono queste tecnologie. Le persone sorde possono essere avvantaggiate dalle e-mail al posto del telefono e da molte altre tecnologie visive, sempre a patto che i luoghi di lavoro si strutturino in modo da includerle. Sennonché lo spazio pubblico è organizzato per rispondere alle esigenze delle nostre “protesi” - le automobili, gli autobus - non alle esigenze delle protesi dei cosiddetti disabili.
“Noi asfaltiamo strade, disegniamo corsie per gli autobus mentre spesso non creiamo rampe o accessi sugli autobus per sedie a rotelle. Lo spazio pubblico è un prodotto delle idee sull’inclusione: costruendo le strade in un modo e non in un altro, escludiamo una persona che può essere altamente competente e produttiva, ma che ha la sfortuna di essere cieca?”.È in gioco, potremmo dire, il diritto di non essere perfetti. Sarebbe legittimo attendersi dalla nostra regione siciliana il buon esempio di una più ampia inclusione.

TAGLIO ICI: IL GOVERNO BERLUSCONI UTILIZZA I FONDI FAS DEL MERIDIONE
Il Governo Berlusconi recupera i soldi ridimensionando i fondi FAS alla Sicilia
Strombazzato da tutti i media, il taglio dell’ICI sulla prima casa è stato uno dei provvedimenti promessi in campagna elettorale da Berlusconi ed attuati nel primo Consiglio dei Ministri a Napoli.
Quello che non è stato strombazzato da nessuna parte, nè in campagna elettorale, nè adesso, è la copertura economica dei mancati introiti del taglio dell’ICI sulla prima casa.
Ebbene il grido di allarme arriva dall’ex Vice Ministro alle Infrastrutture Angelo Capodicasa e dal Ministro ombra alle Infrastrutture del Pd Martella: pare che la copertura finanziaria sia derivante dal taglio dei fondi per le infrastrutture per il Sud. In particolare la Sicilia.
“I soldi ex
Fintecna destinati dal Governo Prodi per realizzare il secondo lotto della Agrigento-Caltanissetta, le metropolitane di Palermo, Catania e Messina, il nuovo attracco per il porto di Messina ed il passante ferroviario di Palermo,la Catania- Ragusa sono stati destinati a coprire il taglio dell’Ici per le case dei ricchi del Nord Italia, considerato che le famiglie meno abbienti erano già state esonerate dal pagamento dell’Ici dal Governo di centrosinistra”.
Ma l’ “Mpa – Alleati per il Sud“, partito di ispirazione autonomista e a difesa del Sud, a detta del suo leader
Lombardo, dov’era mentre veniva messo in atto questa rapina nei confronti del sud??
Forse a continuare a difendere quel
ponte di Messina che sarebbe rischioso, in quanto costruito in una delle zone più telluriche d’Europa, ed inutile perchè senza il resto delle infrastrutture servirebbe veramente a poco, forse esclusivamente ad unire anche geograficamente gli interessi economici di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta?
Il Governo Berlusconi inizia per quello che è: un Governo populista che invece di cercare di risolvere i veri problemi della Sicilia e del Sud, attraverso provvedimenti a favore delle classi sociali più abbienti, cerca di preservare il proprio consenso elettorale e non aiuta la crescita dell’Italia, che dovrebbe partire proprio da quel Sud, che eppur gli ha portato tanti consensi.

Il Segretario dei Giovani Democratici di Ragusa
Valentina Spata

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