martedì 27 ottobre 2009

VI RACCONTO LA STORIA DI EMILIANO, UN PRECARIO DELLA SCUOLA CHE AVENDO PERSO IL LAVORO DECIDE DI ANDARE IN AFRICA


La Riforma Gelmini, una riforma che ha creato un malessere estremo nel nostro Paese.
Ragazze e ragazzi che si trovano a lottare contro regole discriminanti e contro un sistema scolastico che rende difficile il percorso di crescita e di socializzazione; gli studenti disabili e immigrati che vengono totalmente abbandonati a se stessi e discriminati dal resto del gruppo; le famiglie che vedono i loro figli privi di un futuro migliore e che rimangono preoccupaati di un sistema che sembra isolarli rispetto alla realtà ed infine il personale ATA e i professori che si definiscono precari ma che in realtà risultano essere disoccupati, perchè nn mantengono nemmeno lo status di Precario, colui che lavora nn avendo una stabilità ed un equilibrio che porterebbero ad uno status di lavoratore.
Questo è il panorama in cui versa il sistema scolastico italiano e a tal proposito volevo rendere noto a tutti una delle tante reazioni di persone che mi ha colpito in modo particolare..
Voglio Parlare di Emiliano un "precario" della scuola:
La cartella da prof l’ha messa in valigia. Come diceva Piero Gobetti: «Insegnare non è un mestiere, è una missione». E lui, Emiliano Sbaraglia, 38 anni, docente precario e scrittore, è un professore in fuga. In Africa. Per necessità. Una protesta per la «libertà individuale» di continuare a fare quello che «ama» di più: l’insegnante. «No, la mia non è una fuga di cervelli», spiega. «È una protesta in solitudine contro la scuola della maestra unica Mariastella Gelmini».

Ma decisa su due piedi soprattutto dopo l’ultima sortita del superministro all’Economia, Giulio Tremonti sul posto fisso. «Sono stufo di aspettare Godot - sottolinea Sbaraglia -. Sono stanco di sperare nella buca della posta in attesa di una supplenza che non arriverà mai. Vado ad insegnare in Africa. Non resto in Italia in attesa che la Gelmini mi faccia la grazia. Sono un prof e questo voglio fare. Non mi sento italiano, purtroppo lo sono, come cantava Gaber. E visto che nel mio paese non mi è permesso insegnare, quanto vale andarsene piuttosto che mettermi in mutande e subire umiliazioni».

Il professore-scrittore resterà fuori anche dal provvedimento di governo (il cosidetto dl salva precari), insieme ad un centinaio di lavoratori precari della scuola. Una misura che mette una pezza al buco senza risolvere “la macelleria sociale”, anzi crea divisioni avvilenti tra un supplente e un precario.

Mentre scriviamo Sbaraglia è in volo per il Senegal. La sua meta, un centro di accoglienza a sessanta chilometri dalle banlieu di Dakar. Qui insegnerà ai “bambini della spiaggia” la lingua francese. «Li andrò a prendere uno ad uno - racconta con il magone in gola - e li porterò a turno nella Casa della solidarietà “Giovanni Quadroni”. Il francese è la lingua ufficiale e questi bimbi parlano soltanto il dialetto locale. Insegnare è la mia vita, almeno faccio qualcosa di utile per il futuro dei piccoli africani».

Dalla cartella di prof spuntano matite colorate e disegnini in fotocopia. Sbaraglia li rimette in ordine e continua: «Sono undici anni che sono precario. Avevo 28 anni quando arrivò la mia prima convocazione di una scuola. Che emozione! Ma temo che resterò precario a vita: non sono mai andato oltre i quaranta giorni continuativi di insegnamento».

I suoi primi studenti, i ragazzi di un liceo scientifico a Grottaferrata, in provincia di Roma. Una classe difficile, da portare alla maturità e indietro con il programma di Italiano e Latino. Emiliano Sbaraglia è il loro supplente. Tra i banchi anche un pluribocciato di 22 anni, Daniele G. «Ogni tanto ci sentiamo ancora con questo mio studente che oggi è quasi mio coetaneo!».
Sono proprio i “suoi ragazzi” a mancargli di più. «Sono belli gli studenti - scrive il prof-scrittore nel libro: “La scuola siamo noi” (Fannucci editore) -. Ci sono quelli timidi e quelli espansivi, quelli simpatici e quelli ancora da educare, quelli gentili e quelli scontrosi». «Mi piace studiare con loro e per loro», spiega. «Alla fine di una supplenza, la sensazione più brutta è quella di abbandonare i ragazzi dopo aver vissuto dei mesi insieme. Il tempo passa e le classi cambiano, ma ogni volta separarsi da una di esse porta sempre con sé il segno di un piccolo dolore. Una ferita che verrà rimarginata soltanto dal prossimo primo giorno di scuola. Se e quando verrà».

Laureato con tanto di lode Sbaraglia ha vinto una borsa di studio, un dottorato di ricerca all’Università di Tor Vergata. E fino ad oggi ha continuato a collaborare con il professore che ha curato la sua tesi su Piero Gobetti. Sperando in un concorso che non vede luce. Nei “ritagli” tra una supplenza e l’altra, il prof-scrittore si adatta come può per sopravvivere e non cadere in depressione: «Ho fatto il bagnino al mare, il pr nelle discoteche, il libraio, il cameriere a Brooklyn. Ma adesso basta. Sono stanco di questa vita precaria. Me ne vado in Africa».

Tutta la sua amarezza, il suo sconforto l’ha messo per iscritto in una lettera aperta al ministro Gelmini: un testo che sarà la prefazione della ristampa della “Scuola siamo noi”. E che suona come un addio. «Arrivederci Gelmini, vado a insegnare in Africa».
27 ottobre 2009

Valentina Spata

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