mercoledì 3 febbraio 2010

IL LAVORO E L’INCERTEZZA DELLE NUOVE GENERAZIONI.


La sfida per noi è quella di tutte le Organizzazioni sociali: saper interpretare il futuro, dare voce, ma anche guida e rappresentanza, alla nostra gente dentro alle tante incertezze del presente.
Il lavoro è il paradigma del cambiamento, il crocevia delle trasformazioni sociali, è dentro al lavoro che intravediamo gli effetti più rilevanti della globalizzazione che ormai ha avvolto l’intero mondo.
La precarietà, l’insicurezza, la mobilità, il tramonto del posto fisso a tempo indeterminato, la mancanza di tutele, il basso livello retributivo: sono tutti attributi dei tanti lavori che sono specchio della globalizzazione e che l’economia postfordista dell’innovazione tecnologica rende obsoleti con una rapidità inedita.
Noi giovani democratici ci preoccupiamo del lavoro che manca e che si cerca invano, di quello che si perde senza speranza diventando troppo spesso dramma umano e familiare, di quello che dequalifica, ma soprattutto del lavoro che fa male il cosidetto lavoro FLESSIBILE, che potrebbe rappresentare una risorsa per imprese e lavoratori finisce per diventare, precariato dequalificante capace solo di mortificare un’intera generazione, non permettendo ai giovani di poter tagliare il cordone ombelicale con le proprie famiglie, destabilizzando di fatto la società attuale ma soprattutto non permettendo la stesura di basi solide per la costituzione di una società futura. Centinaia di miglia di giovani dalle imprese private agli studi professionali vivono ogni giorno il dramma di un lavoro instabile e senza tutele, giovani “professionisti” che sotto l’ombra di uno pseudo- lavoro autonomo in realtà svolgono un lavoro senza regole né tutele, ma soprattutto senza la garanzia di una formazione adeguata al tipo di specializzazione professionale per la quale stanno lavorando.
.Le riforme del mercato del lavoro che nel corso degli anni si sono succedute hanno fatto sì che un’intera generazione vivesse senza certezze presenti.

La nostra Regione, Cari amici, è tra le 10 regioni europee con il più alto tasso di disoccupazione giovanile. Lo dice eurostat, l’ufficio europeo di statistica.
Penso che questi dati sono la testimonianza di una presenza massiccia di clientelismo e corruzione che negli anni hanno contribuito a far crescere un problema che oggi si trasforma in una grande piaga sociale difficilmente controllabile.

Per porre rimedio a fenomeni economici negativi che si sono sviluppati nel campo
occupazionale, i legislatori hanno individuato e promosso nuove forme di partecipazione al
lavoro: … lavoro interinale, lavoro a chiamata, lavoro a progetto, lavoro di collaborazione coordinata continuativa, eccetera … eccetera … eccetera, … i cosiddetti LAVORI ATIPICI.
Nuovi strumenti utili, NELLE INTENZIONI, all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
Strumenti legislativi e normativi che avrebbero dovuto creare lavoro ma evidentemente non è così: gli strumenti sono utili solamente “QUANDO … E SE” il lavoro lo si è già creato!
Vediamo infatti, che, nel mondo del lavoro italiano, l'introduzione del lavoro atipico e del principio
della flessibilità non si sono dimostrata:
- né risolutivi della disoccupazione;
- né salvatrici delle aziende.
Sostituendo con lavoratori atipici i lavoratori a tempo indeterminato, più che aver vinto la
disoccupazione, si è creata l’occupazione ad intermittenza!
La flessibilità in Italia non sembra essere un’opportunità, essa è subita, non scelta ...
Il PART- TIME diventa quindi una reale precarizzazione del lavoro.
Ma cosa vuol dire precarizzazione?
1°. Precarizzazione del lavoro è precarizzazione della società.
Per molti giovani la cosiddetta flessibilità è una penosa consuetudine di vita, appena migliore della
disoccupazione: quando va bene vivono continui cambiamenti di datore di lavoro … di regole … di contratto e di orari, quando va male vivono nell’angoscia di una imminente disoccupazione …
2°. La precarizzazione del lavoro è precarizzazione della formazione e della
sicurezza.
Occorre dire su questo, anche supportati dalle ricerche effettuate nelle aziende del nostro
territorio, che la precarizzazione del lavoro determina nelle aziende la quasi totale assenza di una
qualsiasi forma di formazione professionale.
E soprattutto, ed è la cosa più grave, la totale assenza di formazione per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro.
Ci troviamo spesso di fronte a lavoratori “usa e getta”.
3°. Precarizzazione del lavoro è precarizzazione delle aziende.
In questo contesto anche le aziende che fanno largo uso di lavoratori atipici, sono sicuramente delle
aziende precarie, perché i lavoratori che vi operano non si sentono parte
dell’azienda, manca in loro il senso di fedeltà e appartenenza del lavoratore.
Evidentemente in queste aziende non può che venir meno la mancanza di professionalità
con conseguente peggioramento nella qualità del prodotto.
4°. Precarizzazione del lavoro è precarizzazione delle organizzazioni sindacali.
Cosa può offrire il tradizionale sindacato ai precari? … Come può, un sindacato suddiviso per
categorie, rappresentare un lavoratore che oggi si occupa di imballaggi e domani opera nel tessile
piuttosto che nel metalmeccanico?
Senz’altro può dare una collaborazione quotidiana nella verifica degli atteggiamenti dell'azienda,
ma difficilmente può programmare con i lavoratori delle prospettive vere di
evoluzione della proprie posizioni lavorative ed economiche.
Forse occorrerebbe sviluppare parallelamente degli strumenti di concertazione locale intersindacale
e interistituzionale come ad esempio gli osservatori del lavoro che raccordino gli strumenti sindacali
a quelli assistenziali propri degli enti locali.

Nel nostro territorio si sono evolute e sperimentate tutte le nuove forme di partecipazione al lavoro,
così che da infondere in molti dei nostri cittadini, UNA PATOLOGICA INCERTEZZA SUL
PROPRIO FUTURO.

Una delle forme di lavoro atipico che negli ultimi tempi è diventato una moda è quello delle Partite Iva. Ovvero, quando il committente (un professionista, una ditta..) ci chiede, per affidarci del lavoro, di aprire una partita IVA. C’è stato un tempo in cui si parlava molto di loro, del “popolo delle partite Iva”, poi sono come scomparsi. Rigettati nel vuoto. Non sono nemmeno considerati nelle schiere dei precari.
Comunque questo tipo ti lavoro è senza dubbio un lavoro a rischio. Le conseguenze possono essere spaventose, se l’operazione non viene affrontata con la necessaria informazione e con l’assistenza di un commercialista o di un’associazione sindacale di categoria (artigiani, commercianti).
Chi apre la PARTITA IVA, infatti, diventa un professionista o un imprenditore a tutti gli effetti (fiscali, assicurativi, normativi): le leggi che deve rispettare, da quel momento in poi, sono un’infinità, ed in continua evoluzione. Inoltre, bisogna mettere in chiaro cosa vuol dire essere dipendente di una ditta ma aprire la partita Iva.
Se una ditta ci offre un lavoro ma ci “obbliga” (perché dobbiamo considerare che molti giovani accettano il lavoro per mancanza dello stesso, quindi ad un certo punto diventa un’obbligazione) ad aprire una partita iva vuol dire che sullo stipendio lordo che viene dato al lavoratore bisogna togliere il 20% dell’iva che deve essere versata allo Stato. A questo punto, spesso il datore di lavoro (la ditta committente o il singolo) ci dicono spesso che possiamo detrarre le spese che abbiamo sostenuto durante l’anno e questo è vero ma si tratta solo di spese inerenti all’attività che vogliamo e non di tutte le spese che facciamo e cerchiamo di considerare al fine di pagare meno tasse. Quindi a fine anno spesso molti giovani lavoratori si ritrovano ad avere uno stipendio basso (stipendio che non si aspettavano) e tanto lavoro svolto con un enorme sforzo e sacrificio.
Inoltre, c’è da dire che le tutele di questi lavoratori sono del tutto inesistenti. Ad esempio se il datore di lavoro decide di licenziare il lavoratore, può farlo tranquillamente visto che il singolo lavoratore risulta autonomo e di conseguenza dopo aver perso il lavoro si ritrova con la partita iva aperta.
Questo tipo di lavoro porta all’innescarsi di fenomeni di opportunismo contrattuale da parte dei datori di lavoro e confonde i ruoli e la posizione di questi lavoratori atipici. Non dobbiamo confondere un lavoratore con partita iva subordinato ad una ditta con un lavoratore autonomo. Questi ultimi sono lavoratori professionisti dotati di un loro potere di mercato incorporato nel proprio bagaglio di competenze professionali e non hanno nessuna dipendenza nei confronti di qualcuno a differenza dei lavoratori con p.iva e subordinati che hanno molte caratteristiche della subordinazione (scarsa autonomia, subordinazione gerarchica, dipendenza economica) senza che queste rientrino sotto la legislazione del lavoro subordinato e sotto i vincoli che la norma imporrebbe.
Queste figure di professionisti solo di nome, ma che di fatto svolgono un lavoro subordinato portano con sé importanti implicazioni anche a livello sociale.
Ritengo che in una realtà come quella italiana in cui i diritti sociali degli individui derivano direttamente dalla posizione lavorativa che si ricopre, queste occupazioni che procurano minor salario e più rischi di precarietà non ipotecano solo il destino attuale degli individui, ma anche quello futuro perché significherà minor contributi per le pensioni, minor possibilità di accesso a forme di previdenze sociali come sussidi o redistribuzioni. Per questo motivo questi contratti diventano una “seconda scelta”, da accettare solo dopo aver vagliato tutte le altre possibilità. E così sempre più spesso sono gli individui dotati di minori risorse quelli che rimangono bloccati nella spirale di questi lavori.
Il Consiglio che noi Giovani Democratici vogliamo dare ai tanti giovani che pur di lavorare sono disposti ad accettare un lavoro subordinato con apertura della partita Iva è quello di aspettare e valutare il giro d’affari affinchè si possa avere una idea chiara del tipo di lavoro e del guadagno recepito, per poi eventualmente aprire la partita iva. In ogni caso è necessario e opportuno consultare un consulente del lavoro e le associazioni sindacali per avere migliori consigli.
In “questo” mondo delle partite Iva abbiamo la monocommittenza, gli orari di lavoro, il vincolo di subordinazione, tutti gli istituti di un rapporto di lavoro dipendente. Questi sono gli effetti di un ripugnante sistema duale, dove il rapporto rischio-rendimento è rovesciato: a maggiore rischio (la precarietà) corrisponde un rendimento (la retribuzione) risibile, e nessuna protezione di welfare, o protezioni più formali che sostanziali. Questa è la negazione del mercato, ed il trionfo di una forma moderna di schiavismo. Questi istituti contrattuali non possono chiamarsi lavoro flessibile, è bene sottolinearlo.
Il nostro auspicio è che questa classe politica insieme ad i Sindacati (che devono tutelare tutte le categorie di lavoratori) iniziano ad interessarsi di questo reale problema che rende ancora più incerto il futuro delle nuove generazioni. La precarietà non si contrasta né con il lavoro atipico, né con il lavoro subordinato con partita iva, ma con dei progetti a lungo raggio che permettono ai giovani una sicurezza e una stabilità necessaria per una prospettiva futura.
Un progetto che ribadisce la necessità di rendere più conveniente il lavoro a tempo indeterminato rispetto a quello a termine e prevede misure per rimuovere ostacoli che bloccano la propensione delle imprese ad assumere a tempo indeterminato: allungamento del periodo di prova (per facilitare il test reciproco di gradimento fra impresa e lavoratori), uso modulato del contratto di apprendistato per permettere un ingresso graduale al lavoro con formazione progressiva dei giovani, riduzione dei tempi e dei costi del processo del lavoro che rappresentano gravi oneri specie per le PMI, promozione di conciliazione ed arbitrato (ddl presentato al Senato).
Un intervento urgente riguarda la promozione dell’occupazione femminile da noi molto più basso degli standard europei, sostenere tale occupazione ha un impatto economico maggiore degli interventi sullo straordinario.
Un’analoga politica promozionale è necessaria per alzare il tasso di occupazione dei lavoratori anziani, over 55, anch’esso troppo basso. Questi interventi sono particolarmente urgenti nel nostro paese che presenta un rapido invecchiamento della popolazione e un basso tasso di natalità e sono necessari per allargare la nostra base occupazionale anche ai fini pensionistici.;
Questo è un progetto che ci è stato illustrato dall’On. Marianna Madia del PD in occasione di una iniziativa a Ragusa relativa al Lavoro. Noi riteniamo che possa essere un ottima soluzione per affrontare uno dei problemi più grandi che affligge il nostro Paese e in modo particolare la nostra Regione.

Il Segretario dei Giovani Democratici di Ragusa
Valentina Spata.

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