Perché l’Italia ha meno
infrastrutture degli altri paesi Europei? E perché il Sud ne ha ancora meno?
“L’Italia è oggi in grave deficit infrastrutturale.
Si colloca, al 72° posto nella classifica
mondiale per il complesso delle infrastrutture, al
53° per quelle stradali, al 45° per quelle ferroviarie
all’83° per quelle portuali, all’85° per quelle di
trasporto aereo. Che questa grave carenza incida pesantemente sulla debolezza
della crescita è universalmente sottolineato; non altrettanto che essa derivi
anche da una visione frammentaria e non sistemica delle reti infrastrutturali e
in particolare da quelle di comunicazione trasporto, e dal carattere
frammentario e non sistemico delle politiche pubbliche e degli investimenti
sull’intero territorio nazionale. Le carenze infrastrutturali (pur ovunque
distribuite) sono gravissime nelle regioni del Mezzogiorno, che presenta oggi
rispetto alla media italiana una dotazione complessiva del 59%, del 46% di
infrastrutture idriche, 43,6% energetiche, 76% di comunicazione, 80,4% di
trasporto. Come evidenzia la SVIMEZ, e già sottolineato nei Rapporti annuali
del Dipartimento per le politiche di coesione e sviluppo, in studi specifici
della Banca d’Italia, la complessiva inefficienza delle reti e la divisione
dell’Italia in due
nelle reti di comunicazione è oggi vistosissima
soprattutto sotto l’aspetto qualitativo. Quanto alle infrastrutture nelle
regioni meridionali, se le carenze nei servizi di competenza regionale e locale
chiamano totalmente in causa le responsabilità delle relative istituzioni e
attori, nonchè la capacità delle classi dirigenti e della società civile di
mobilitarsi verso obiettivi strategici e non opportunistici di crescita, le
scelte fondamentali sulle grandi reti di comunicazione, pur non escludendo la
capacità progettuale e propositiva dei territori e delle classi dirigenti
locali, si devono
all’indirizzo delle politiche pubbliche nazionali e
delle grandi imprese pubbliche responsabili dei
relativi
servizi. La quota di risorse ordinarie oggi destinate ad infrastrutture di rete
nelle regioni meridionali dagli enti pubblici, tra cui Anas, Ferrovie dello
Stato, Enel, è persino scesa dal 28,7% della media nazionale del 1998, al 22,3%
del 2006. Il 68% della spesa della pubblica amministrazione è concentrato nel
Centro-Nord”.
Questa è una parte
della relazione di Leandra D’antone, storica dell’economia, presentata in un
suo recente intervento per lo Svimez, “Infrastrutture per l’Italia:
1860-2011”.
Dal suo interessante
report si comprende quanto sia evidente il divario infrastrutturale tra Nord e
Sud. Per quanto riguarda le Ferrovie viene sottolineata la mancanza di
collegamenti ad alta velocità da Napoli in giù. Aggiungo che in Sicilia, dove
le ferrovie dello stato non hanno voluto investire negli ultimi anni
cancellando di conseguenza molte tratte, la rete ferroviaria è davvero
fatiscente e arcaica. La rete si estende per 1400 Km di cui 780 elettrificati.
Dal 1999 ad oggi la distanza coperta dalla rete non ha subito cambiamenti. Il
trasporto ferroviario che per tradizione raggiungeva in maniera capillare il
territorio anche delle aree rurali interne non è stato incentivato da politiche
di rinnovo e ammodernamento strutturale anzi in alcuni tratti non elettrificati
che potevano dare impulso a forme innovative di turismo verde e alternativo i
binari sono stati smantellati. Ma la decisione di Trenitalia di cancellare
alcune tratte ferroviarie nell’Isola è l’ennesimo atto di razzismo perpetrato
da Roma nei confronti della Sicilia. Questa decisione calata dall’alto
danneggerà centinaia di studenti fuorisede e di lavoratori pendolari che
giornalmente utilizzano il treno, ed avrà pesanti ripercussioni per il turismo
nell’Isola, altro che progetti per lo sviluppo delle infrastrutture e fondi per
la realizzazione del ponte sullo stretto. E’ assurdo poter pensare di
cancellare le tratte in una terra come la Sicilia già penalizzata dalla
mancanza di una adeguata rete di trasporti. La situazione peggiora se parliamo
di strade e autostrade. La D’Antone, sostiene che l’unico collegamento
possibile per tutte le Regioni del Sud sarà l’autostrada Salerno-Reggio
Calabria (ancora in corso di adeguamento con la corsia di emergenza, e che, a
lavori conclusi). In Sicilia si rileva
la totale mancanza di una rete autostradale a tre corsie contro i 23 km per
1000 km di superficie territoriale (l’Italia mediamente ne conta 21 km). Le
autostrade Catania - Messina e Catania – Palermo hanno bisogno urgenti interventi
di ripristino del manto stradale e delle gallerie; La Catania Siracusa,
terminata di recente, deve essere migliorata; la Gela- Palermo è inagibile, da
qualche anno, a causa del crollo di un ponte subito dopo la realizzazione. Le
maggiori problematiche delle strade siciliane riguardano soprattutto lo
scadente livello nei servizi agli utenti, gli alti livelli di incidentalità con
i relativi tassi di mortalità che risultano essere superiori rispetto alla
media nazionale e lo scarso collegamento tra i nodi urbani, le zone costiere e
le aree interne soprattutto per le Province di Agrigento, Enna, Caltanissetta e
la mia Provincia, quella di Ragusa. Pensate da Ragusa per arrivare a Palermo,
ad una velocità di 100 km/h, ci si impiega 3 ore e mezzo – 4 ore. La mancanza
di collegamenti stradali efficaci compromette l’efficacia delle strutture
aeroportuali che nel Meridione sono numerosi. L’Aeroporto di Catania, uno dei
più grandi del Meridione, ad esempio da Ragusa dista 1 ora e mezzo di macchina
a causa della mancanza di autostrada che permetterebbe i cittadini ragusani e
dei paesi limitrofi di raggiungere la stazione aeroportuale in circa mezz’ora.
L’intervento prioritario si concentra sull’aeroporto di Comiso, a supporto
dell’aeroporto di Catania ed a copertura dell’area orientale dell’Isola.
Finanziato con fondi POR, con delibera CIPE, ma anche con fondi privati doveva
entrare in pieno regime già dall’anno scorso ma ancora aspettiamo l’apertura. Nonostante
questi disagi, i siciliani, sono costretti a pagare un costo eccessivo di
trasporti. In questo periodo di crisi, e soprattutto con l’aumento della
benzina, ne risentono maggiormente tutte le persone che lavorano fuori città e
a causa di mancanza di mezzi di trasporto (autobus, treni) sono costretti a
viaggiare in macchina. Ma, in modo particolare a soffrirne sono gli
autotrasportatori che ogni settimana si dirigono verso il nord Italia per la
distribuzione delle merci e dei prodotti. Pensate che da Vittoria (dove si
trova uno dei più grandi mercati ortofrutticoli della Sicilia) per arrivare a
Roma ci vogliono 20 ore di viaggio.
Per quanto riguarda la
portualità, come sostiene la D’Antone, pur con punte di eccellenza (come il
porto di Gioia Tauro), grazie all’intensità dei traffici tra Occidente e
Oriente attraverso il Mediterraneo stenta a riorganizzarsi sulla base delle
indicazioni comunitarie e di una coerente e non puramente enunciata scommessa
sull’incremento delle relazioni commerciali tra l’Europa e il Nord Africa. Ad
esempio, lo sviluppo delle infrastrutture siciliane ruota attorno a due grandi
poli portuali. Nella parte orientale dell’Isola, vi è l’area
Pozzallo-Catania-Augusta, quest’ultima vocata al trasporto container, con alle
spalle un retro porto ben attrezzato, e da collegare in modo intermodale
(ferrovie e strade) col grande interporto di Catania Bicocca. Nella parte
occidentale, vi è il porto di Trapani-Palermo, con l’interporto di Termini
Imerese, da specializzare nel trasporto con traghetti che consentono
collegamenti veloci con i porti del Nord Italia, realizzando una grande
autostrada del mare. Su queste piattaforme logistiche, di cui potranno
beneficiare attraverso un sistema integrato tutte le province della Sicilia, si
gioca una parte consistente dello sviluppo futuro della Regione.
Iniziamo dallo sfatare
un luogo comune, secondo il quale il primo sforzo serio per dotare di
infrastrutture il meridione si sarebbe avuto a partire dagli anni ’50 con
l’”intervento straordinario”.
Così non è stato e non
è ancora oggi. Le risorse dello Stato impegnate nel Mezzogiorno quasi sempre
non sono state ben utilizzate per la realizzazione e lo sviluppo delle
strutture dedicate al meridione. Il gao infrastrutturale siciliano nei
confronti dell’Italia è grave e risulta sostanzialmente invariato negli ultimi
anni. “una regione ben dotata di infrastrutture avrà un vantaggio comparato
rispetto ad una meno dotata e questo si tradurrà in un più elevato Pil
regionale pro-capite o per persona occupata e/o anche in un più levato livello
di occupazione. Da ciò consegue che la produttività, i redditi e l’occupazione
regionale sono funzione crescente della dotazione di infrastrutture”. Come
tutte le grandi opere, anche il Ponte di Messina è stata sempre fonte di lungo
dibattito tra opinioni e sentimenti diversi, ha suscitato opposizioni di tipo
politico, economico, etico e quant’altro. La paura che il ponte di Messina si
riveli l’ennesima “cattedrale nel deserto”, che le strutture ferroviarie e
autostradali promesse e necessarie affinchè questa colossale opera abbia un
senso, rimanga pura utopia. I siciliani si chiedono: “a cosa serve il ponte se
prima non si realizza e migliora la rete stradale?”. Inoltre, c’è chi non vuole
vedere deturpate ed inquinate le bellezze naturali di Ganrizzi e Villa,
nonostante nella progettazione del ponte di Messina si sia fatto il possibile
per ridurre ai minimi termini l’impatto ambientale. Nel corso degli anni il
tema delle “infrastrutture” è diventato una questione importante e cruciale per
l’economia e lo sviluppo del Meridione della mia amata isola Siciliana. Adesso
se si vuole pensare ad una vera crescita del Paese si deve ripartire dal Sud,
dallo sviluppo e dalla crescita del Meridione, ripensando alle infrastrutture
nel suo complesso: dal sistema dei trasporti, alla realizzazione di opere
pubbliche, ai fondi FAS, al sistema energetico fino ad arrivare al sistema
delle telecomunicazioni.