lunedì 16 aprile 2012

Ripartire dal Sud. Ripartire dalle infrastrutture per lo sviluppo e la crescita.




Perché l’Italia ha meno infrastrutture degli altri paesi Europei? E perché il Sud ne ha ancora meno?

“L’Italia è oggi in grave deficit infrastrutturale. Si colloca, al 72° posto nella classifica
mondiale per il complesso delle infrastrutture, al 53° per quelle stradali, al 45° per quelle ferroviarie
all’83° per quelle portuali, all’85° per quelle di trasporto aereo. Che questa grave carenza incida pesantemente sulla debolezza della crescita è universalmente sottolineato; non altrettanto che essa derivi anche da una visione frammentaria e non sistemica delle reti infrastrutturali e in particolare da quelle di comunicazione trasporto, e dal carattere frammentario e non sistemico delle politiche pubbliche e degli investimenti sull’intero territorio nazionale. Le carenze infrastrutturali (pur ovunque distribuite) sono gravissime nelle regioni del Mezzogiorno, che presenta oggi rispetto alla media italiana una dotazione complessiva del 59%, del 46% di infrastrutture idriche, 43,6% energetiche, 76% di comunicazione, 80,4% di trasporto. Come evidenzia la SVIMEZ, e già sottolineato nei Rapporti annuali del Dipartimento per le politiche di coesione e sviluppo, in studi specifici della Banca d’Italia, la complessiva inefficienza delle reti e la divisione dell’Italia in due
nelle reti di comunicazione è oggi vistosissima soprattutto sotto l’aspetto qualitativo. Quanto alle infrastrutture nelle regioni meridionali, se le carenze nei servizi di competenza regionale e locale chiamano totalmente in causa le responsabilità delle relative istituzioni e attori, nonchè la capacità delle classi dirigenti e della società civile di mobilitarsi verso obiettivi strategici e non opportunistici di crescita, le scelte fondamentali sulle grandi reti di comunicazione, pur non escludendo la capacità progettuale e propositiva dei territori e delle classi dirigenti locali, si devono
all’indirizzo delle politiche pubbliche nazionali e delle grandi imprese pubbliche responsabili dei
relativi servizi. La quota di risorse ordinarie oggi destinate ad infrastrutture di rete nelle regioni meridionali dagli enti pubblici, tra cui Anas, Ferrovie dello Stato, Enel, è persino scesa dal 28,7% della media nazionale del 1998, al 22,3% del 2006. Il 68% della spesa della pubblica amministrazione è concentrato nel Centro-Nord”.
Questa è una parte della relazione di Leandra D’antone, storica dell’economia, presentata in un suo recente intervento per lo Svimez, “Infrastrutture per l’Italia: 1860-2011”. 
Dal suo interessante report si comprende quanto sia evidente il divario infrastrutturale tra Nord e Sud. Per quanto riguarda le Ferrovie viene sottolineata la mancanza di collegamenti ad alta velocità da Napoli in giù. Aggiungo che in Sicilia, dove le ferrovie dello stato non hanno voluto investire negli ultimi anni cancellando di conseguenza molte tratte, la rete ferroviaria è davvero fatiscente e arcaica. La rete si estende per 1400 Km di cui 780 elettrificati. Dal 1999 ad oggi la distanza coperta dalla rete non ha subito cambiamenti. Il trasporto ferroviario che per tradizione raggiungeva in maniera capillare il territorio anche delle aree rurali interne non è stato incentivato da politiche di rinnovo e ammodernamento strutturale anzi in alcuni tratti non elettrificati che potevano dare impulso a forme innovative di turismo verde e alternativo i binari sono stati smantellati. Ma la decisione di Trenitalia di cancellare alcune tratte ferroviarie nell’Isola è l’ennesimo atto di razzismo perpetrato da Roma nei confronti della Sicilia. Questa decisione calata dall’alto danneggerà centinaia di studenti fuorisede e di lavoratori pendolari che giornalmente utilizzano il treno, ed avrà pesanti ripercussioni per il turismo nell’Isola, altro che progetti per lo sviluppo delle infrastrutture e fondi per la realizzazione del ponte sullo stretto. E’ assurdo poter pensare di cancellare le tratte in una terra come la Sicilia già penalizzata dalla mancanza di una adeguata rete di trasporti. La situazione peggiora se parliamo di strade e autostrade. La D’Antone, sostiene che l’unico collegamento possibile per tutte le Regioni del Sud sarà l’autostrada Salerno-Reggio Calabria (ancora in corso di adeguamento con la corsia di emergenza, e che, a lavori conclusi).  In Sicilia si rileva la totale mancanza di una rete autostradale a tre corsie contro i 23 km per 1000 km di superficie territoriale (l’Italia mediamente ne conta 21 km). Le autostrade Catania - Messina e Catania – Palermo hanno bisogno urgenti interventi di ripristino del manto stradale e delle gallerie; La Catania Siracusa, terminata di recente, deve essere migliorata; la Gela- Palermo è inagibile, da qualche anno, a causa del crollo di un ponte subito dopo la realizzazione. Le maggiori problematiche delle strade siciliane riguardano soprattutto lo scadente livello nei servizi agli utenti, gli alti livelli di incidentalità con i relativi tassi di mortalità che risultano essere superiori rispetto alla media nazionale e lo scarso collegamento tra i nodi urbani, le zone costiere e le aree interne soprattutto per le Province di Agrigento, Enna, Caltanissetta e la mia Provincia, quella di Ragusa. Pensate da Ragusa per arrivare a Palermo, ad una velocità di 100 km/h, ci si impiega 3 ore e mezzo – 4 ore. La mancanza di collegamenti stradali efficaci compromette l’efficacia delle strutture aeroportuali che nel Meridione sono numerosi. L’Aeroporto di Catania, uno dei più grandi del Meridione, ad esempio da Ragusa dista 1 ora e mezzo di macchina a causa della mancanza di autostrada che permetterebbe i cittadini ragusani e dei paesi limitrofi di raggiungere la stazione aeroportuale in circa mezz’ora. L’intervento prioritario si concentra sull’aeroporto di Comiso, a supporto dell’aeroporto di Catania ed a copertura dell’area orientale dell’Isola. Finanziato con fondi POR, con delibera CIPE, ma anche con fondi privati doveva entrare in pieno regime già dall’anno scorso ma ancora aspettiamo l’apertura. Nonostante questi disagi, i siciliani, sono costretti a pagare un costo eccessivo di trasporti. In questo periodo di crisi, e soprattutto con l’aumento della benzina, ne risentono maggiormente tutte le persone che lavorano fuori città e a causa di mancanza di mezzi di trasporto (autobus, treni) sono costretti a viaggiare in macchina. Ma, in modo particolare a soffrirne sono gli autotrasportatori che ogni settimana si dirigono verso il nord Italia per la distribuzione delle merci e dei prodotti. Pensate che da Vittoria (dove si trova uno dei più grandi mercati ortofrutticoli della Sicilia) per arrivare a Roma ci vogliono 20 ore di viaggio.
Per quanto riguarda la portualità, come sostiene la D’Antone, pur con punte di eccellenza (come il porto di Gioia Tauro), grazie all’intensità dei traffici tra Occidente e Oriente attraverso il Mediterraneo stenta a riorganizzarsi sulla base delle indicazioni comunitarie e di una coerente e non puramente enunciata scommessa sull’incremento delle relazioni commerciali tra l’Europa e il Nord Africa. Ad esempio, lo sviluppo delle infrastrutture siciliane ruota attorno a due grandi poli portuali. Nella parte orientale dell’Isola, vi è l’area Pozzallo-Catania-Augusta, quest’ultima vocata al trasporto container, con alle spalle un retro porto ben attrezzato, e da collegare in modo intermodale (ferrovie e strade) col grande interporto di Catania Bicocca. Nella parte occidentale, vi è il porto di Trapani-Palermo, con l’interporto di Termini Imerese, da specializzare nel trasporto con traghetti che consentono collegamenti veloci con i porti del Nord Italia, realizzando una grande autostrada del mare. Su queste piattaforme logistiche, di cui potranno beneficiare attraverso un sistema integrato tutte le province della Sicilia, si gioca una parte consistente dello sviluppo futuro della Regione.
Iniziamo dallo sfatare un luogo comune, secondo il quale il primo sforzo serio per dotare di infrastrutture il meridione si sarebbe avuto a partire dagli anni ’50 con l’”intervento straordinario”.
Così non è stato e non è ancora oggi. Le risorse dello Stato impegnate nel Mezzogiorno quasi sempre non sono state ben utilizzate per la realizzazione e lo sviluppo delle strutture dedicate al meridione. Il gao infrastrutturale siciliano nei confronti dell’Italia è grave e risulta sostanzialmente invariato negli ultimi anni. “una regione ben dotata di infrastrutture avrà un vantaggio comparato rispetto ad una meno dotata e questo si tradurrà in un più elevato Pil regionale pro-capite o per persona occupata e/o anche in un più levato livello di occupazione. Da ciò consegue che la produttività, i redditi e l’occupazione regionale sono funzione crescente della dotazione di infrastrutture”. Come tutte le grandi opere, anche il Ponte di Messina è stata sempre fonte di lungo dibattito tra opinioni e sentimenti diversi, ha suscitato opposizioni di tipo politico, economico, etico e quant’altro. La paura che il ponte di Messina si riveli l’ennesima “cattedrale nel deserto”, che le strutture ferroviarie e autostradali promesse e necessarie affinchè questa colossale opera abbia un senso, rimanga pura utopia. I siciliani si chiedono: “a cosa serve il ponte se prima non si realizza e migliora la rete stradale?”. Inoltre, c’è chi non vuole vedere deturpate ed inquinate le bellezze naturali di Ganrizzi e Villa, nonostante nella progettazione del ponte di Messina si sia fatto il possibile per ridurre ai minimi termini l’impatto ambientale. Nel corso degli anni il tema delle “infrastrutture” è diventato una questione importante e cruciale per l’economia e lo sviluppo del Meridione della mia amata isola Siciliana. Adesso se si vuole pensare ad una vera crescita del Paese si deve ripartire dal Sud, dallo sviluppo e dalla crescita del Meridione, ripensando alle infrastrutture nel suo complesso: dal sistema dei trasporti, alla realizzazione di opere pubbliche, ai fondi FAS, al sistema energetico fino ad arrivare al sistema delle telecomunicazioni.



Valentina Spata 

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