venerdì 8 febbraio 2013

Ragusa: arrestato marito per aver picchiato a sangue la moglie.



Sono numerose le donne che preferiscono ripetersi "non sta succedendo a me" e si preparano il giorno dopo a dire ai figli, poi ai colleghi, agli amici, che non è niente, che hanno di nuovo sbattuto contro la porta o sono cadute dalle scale. Donne che non hanno la volontà di denunciare il compagno o il marito perchè scelgono l'amore per l'altro anzichè per se stesse. 
Ma la violenza sulle donne, in alcuni casi si spinge fino all’omicidio definito per la prima volta "femminicidio". E' una tragedia che parla a tutti. Soprattutto, che riguarda tutti.

Quella che vi racconto oggi, è una storia che poteva avere un finale tragico se le forze dell'ordine non sarebbero intervenute tempestivamente. 
“Sei una puttana, ti taglio la testa”. Una frase urlata dal marito (modicano 59enne) alla propria moglie (ragusana), mentre la picchiava brutalmente. 
E' quanto accaduto stanotte in un'abitazione in pieno centro storico a Ragusa. 
Le pattuglie della Sezione Volanti di Ragusa, allertate da una chiamata anonima al 113, si sono recate presso l'abitazione. I poliziotti hanno inizialmente bussato alla porta, ma non ricevendo risposta non hanno esitato a fare irruzione in casa, imbattendosi in un uomo con il pigiama sporco di sangue. 
La gravità della situazione non ha lasciato altra soluzione che bloccare tale ingiustificata escalation di violenza familiare. L'aggressore però non ha gradito questa presenza non prevista e si è scagliato anche contro i poliziotti. Gli Agenti hanno faticato non poco a placare la furia dell’aggressore e fortunatamente sono riusciti a bloccarlo e ad identificarlo e ad arrestarlo.
La donna è stata trasportata all'Ospedale dove i medici hanno riscontrato una prognosi riservata di circa 20 giorni. 

Questa è l'ennesima storia di violenza delle donne perpetrata tra le mura domestiche. 
E' quello che accade quando le donne non decidono di rompere il SILENZIO. Quando non si è convinte di fare a pezzi il SILENZIO, a pezzi come le bambole che simbolicamente rappresentano le vite spezzate di tante donne ab-usate.
Pubblicità, volantini, servizi telefonici: sono alcuni degli strumenti utilizzati per sostenere le donne ad intraprendere un percorso di denuncia. Ma i dati ci raccontano che solo una minima parte di loro riesce a denunciare gli abusi e le violenze subite.
Allora sorge spontanea la domanda: perché le donne fanno così fatica a denuncia e a scappare da simili situazioni?
È proprio nella parola fatica che troviamo una prima risposta: fatica ad andare avanti quando si è persa la speranza, fatica a ricucirsi una vita quando ci si sente incapaci, fatica a risvegliare la propria autostima quando gesti, parole e pensieri la schiacciano.
Speranza e autostima sono fattori trasversali a culture, capacità economiche e intellettuali e vanno alimentati, nutriti, abbeverati. Dalla donna, in prima persona, e da chi la circonda: famiglia e società.
Per riuscire a denunciare, la donna deve riscoprire il proprio valore di donna, la dignità del sentimento femminile, del suo potere di “dare vita”. A un figlio come a se stessa. Questa scoperta è quella linfa che riesce a sconfiggere la fatica e fa trovare l'energia per sollevare la testa e guardare con fiducia il proprio futuro.

Valentina Spata



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