giovedì 17 gennaio 2013

Stato-Mafia. Di Matteo: Borsellino ucciso per proteggere la "trattativa"

All’ingresso dell’aula Bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo sono solo gli agenti della polizia penitenziaria che osservano i pochi passanti. Quarta udienza preliminare del processo sulla trattativa Stato-mafia, porte chiuse al pubblico e ai giornalisti. All’interno del bunker ci sono esponenti dello Stato-stato assieme a personaggi “ibridi” accusati di aver trattato con Cosa Nostra
I nomi dei Boss mafiosi di prim’ordine come Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, sono scritti nella richiesta di rinvio a giudizio accanto a quello del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, insieme ai nomi e cognomi di uomini delle istituzioni e della politica che con essi avrebbero trattato: Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino, e poi ancora esponenti del Ros dei carabinieri come Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni; in ultimo Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, don Vito.
Tra coloro che hanno chiesto ed ottenuto di essere ammessi come parte civile al processo sono presenti in aula Sonia Alfano, presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia, nonché presidente della Commissione antimafia europea e Salvatore Borsellino,fratello del giudice assassinato in via D’Amelio e presidente dell’associazione delle “Agende Rosse”. Punto focale dell’udienza odierna: la competenza territoriale per il futuro processo. Gli avvocati degli “imputati di Stato” mirano a farlo spostare da Palermo. Per l’avv. Carlo Federico Grosso, legale di Calogero Mannino, la competenza territoriale dovrebbe essere del tribunale di Roma. Sulla stessa onda l’avvocato di Antonio Subranni e Mario Mori, Basilio Milio, così come il legale di Nicola Mancino, Massimo Krogh, che contesta ugualmente la competenza territoriale e funzionale del tribunale di Palermo (insistendo soprattutto sulla competenza del tribunale dei ministri).
Poco dopo l’inizio dell’udienza Totò Riina rinuncia a presenziare in video conferenza. L’avvocato di Bernardo Provenzano, Rosalba Di Gregorio, eccepisce l’incapacità per Provenzano di partecipare coscientemente al processo in quanto incapace di intendere e di volere e a fronte di ciò deposita la relativa documentazione. Il Gup dispone quindi una perizia per accertare le capacità mentali di Provenzano così da verificare se sia capace o meno a partecipare coscientemente al giudizio. E’ il momento delle parti civili. Tra questi l’avvocato Fabio Repici che rappresenta l’associazione delle Agende Rosse e l’associazione naz. Familiari Vittime di Mafia. L’avv. Repici spiega che, così come risulta dal capo di imputazione formulato dalla procura, sono tutti connessi i fatti citati: dall’omicidio di Salvo Lima fino alle stragi del ’92 e del ’93. Secondo il legale per ragioni di diritto eccepite da varie sentenze della corte di Cassazione il processo non si deve quindi spostare né a Caltanissetta, né a Firenze, ma si deve celebrare a Palermo in quanto la prima minaccia al governo (rappresentata dall’omicidio di Salvo Lima) si è consumata nel capoluogo siciliano.
Nel suo intervento il pm Antonino Di Matteo sottolinea ulteriormente come il primo atto nel quale si è esplicitata la minaccia al governo – e che quindi ha aperto la trattativa – è stato l’omicidio di Salvo Lima commesso a Palermo ed è questa la ragione per cui la competenza è dell’autorità giudiziaria palermitana. Per quanto riguarda il collegamento tra la strage di via D’Amelio e la trattativa il pm è alquanto esplicito. “Sulla base degli elementi di prova acquisiti – evidenzia Di Matteo leggendo la memoria successivamente depositata –, è invece possibile ritenere l’esistenza di un collegamento fattuale tra la ‘trattativa’, scaturita dalla minaccia, e l’uccisione di Paolo Borsellino. Ma è necessario chiarire l’effettiva consistenza di tale nesso. Ed infatti, il collegamento esiste e rileva non perché la strage di via D’Amelio sia stata perpetrata ‘per eseguire’ la minaccia, ma semmai ‘per proteggere la trattativa’ dal pericolo che il dott. Borsellino, venutone a conoscenza, ne rivelasse e denunciasse pubblicamente l’esistenza, in tal modo pregiudicandone irreversibilmente l’esito auspicato”. Il pm entra ulteriormente nello specifico dei collegamenti tra la trattativa e le stragi quando legge il passaggio relativo alle “stragi del continente”. Secondo Di Matteo le stragi del ’93 a Roma, Firenze e Milano “possono certamente considerarsi come commesse in esecuzione della minaccia che viene contestata”.
Nel documento firmato congiuntamente da Lia Sava, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia viene evidenziato che in base al compendio degli elementi probatori, in gran parte valutati anche da più sentenze delle Corti di Assise di Caltanissetta e Catania, si induce a ritenere che l’omicidio di Giovanni Falcone sia da ricondurre a moventi e finalità “principalmente riconducibili alla vendetta nei confronti del ‘nemico storico’, che era riuscito ad incidere pesantemente nei confronti di Cosa Nostra anche nella sua veste di direttore degli Affari penali. Alla finalità vendicativa certamente si accompagnava una finalità spiccatamente preventiva, volta a neutralizzare i pericoli che all’organizzazione mafiosa sarebbero derivati dalla prospettata nomina del dott. Falcone alla carica di Procuratore Nazionale Antimafia, ma anche – ed ancor più nell’immediatezza – dalla continuazione di quella vera e propria strategia di contrasto incisivo che lo stesso, con il sostegno politico del Ministro Martelli e in piena sintonia con il Ministro dell’Interno Scotti, aveva sviluppato fin dal primo momento successivo alla sua nomina a direttore degli Affari penali”. Fine dell’udienza. Grande assente l’avvocatura dello Stato che sulla competenza non ha voluto pronunciarsi lasciando così soli Procura e parti civili private. Il 4 dicembre prossimo il Gup si pronuncerà sulla competenza territoriale.

Tratto da:www.antimafiaduemila.com

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